Tornare nei panni di Kyle Crane è sempre un piacere, ma Dying Light: The Beast ci lascia con sensazioni contrastanti. Dopo 40 ore di gioco, una cosa è chiara: il fulcro del gameplay, il parkour, è ancora “sempre in tiro”, adrenalinico e appagante come nei capitoli precedenti. L’aggiunta dei veicoli, usati sia per spostamenti rapidi che come vere armi di distruzione (sì, buttare zombie sotto la macchina è divertente come sembra), rinfresca la formula.
Purtroppo, tutto ciò che non riguarda il gameplay non brilla allo stesso modo. La storia, pur non essendo banale, risulta scontata, senza veri colpi di scena e popolata da personaggi piatti. A parte un villain ben riuscito, è difficile che qualcosa della trama vi rimanga impresso dopo aver spento la console.
Una Trama Scontata, Personaggi Piatti
Ci sono franchise che si giocano per la trama e altri che si giocano per il gameplay. Dying Light è sempre appartenuto alla seconda categoria, e The Beast non fa eccezione. Dopo 40 ore di gioco, possiamo confermare che la storia non vi resterà impressa.
Intendiamoci, non è banale, ma è terribilmente scontata. L’intreccio si sviluppa esattamente come ci si aspetta, senza un singolo colpo di scena che provi a scuotere il giocatore. Questo problema si riflette sui personaggi, che risultano piatti e dimenticabili. Fatta eccezione per il ritorno di Kyle Crane (il protagonista) e un villain ben caratterizzato e con le giuste motivazioni, l’intero cast secondario funge solo da contorno, senza mai riuscire a creare un legame emotivo.
Si gioca per inerzia, per arrivare alla missione successiva, ma non certo per scoprire come andrà a finire.
Il Re è (Ancora) il Gameplay
Se la trama delude, il gameplay di Dying Light: The Beast ci ricorda perché amiamo questa serie. Dopo 40 ore di gioco, possiamo confermare che il cuore pulsante del titolo è ancora il combattimento corpo a corpo e il movimento.
Parkour “Sempre in Tiro” Il parkour rimane il fiore all’occhiello. È fluido, reattivo e “sempre in tiro”, esattamente come lo ricordavamo nei capitoli precedenti. Saltare tra i tetti e muoversi agilmente tra le orde di infetti è ancora incredibilmente appagante.
Asfalto, Sangue e “Beast Mode” Le novità principali del gameplay sono due. La prima è l’introduzione dei veicoli, che non solo rendono gli spostamenti più rapidi, ma sono vere e proprie armi per buttare gli zombie sotto la macchina.
La seconda è la “Beast Mode”: in determinati momenti della storia, Crane si trasforma in una vera e propria bestia. Questa meccanica, sebbene scriptata, è una gradita aggiunta che spezza il ritmo e regala momenti di pura potenza distruttiva.
Gore, Melee e Armi da Fuoco Rare The Beast vede il ritorno delle armi da fuoco, ma saggiamente le munizioni sono poche e difficili da trovare. Questo bilanciamento è perfetto per il genere, spingendoci a usare le pistole solo nelle situazioni disperate.
Per l’80% del tempo, infatti, ci siamo affidati ad armi contundenti e da taglio, e qui il gioco eccelle. Il combattimento melee dà una soddisfazione immensa, grazie soprattutto a un livello di gore e smembramento che farà felici gli amanti del genere. Ogni colpo ha un peso e un impatto visibile, rendendo ogni scontro viscerale e brutale.
Un Open World Fermo al 2015
Se il gameplay corpo a corpo è stato rifinito, non possiamo dire lo stesso della struttura del mondo di gioco. L’open world di The Beast, purtroppo, sembra rimasto fermo al 2015.
La mappa è ampia, ma le attività sono ripetitive e la struttura delle missioni secondarie non si è evoluta. Ci si ritrova a fare le solite commissioni (recupera questo, attiva quello) in un ambiente che, sebbene suggestivo, non offre veri incentivi all’esplorazione se non per raccogliere materiali. È lo stesso stile di open world che abbiamo già visto in decine di titoli, e dopo 40 ore di gioco, la sensazione di “già visto” è forte.
Ciclo Giorno/Notte: Difficile, ma Senza Paura
Un altro punto che ci ha convinto solo a metà è il ciclo giorno/notte, un pilastro del franchise. In The Beast, questo ciclo sembra aver perso il suo senso (“no sense”).
Di giorno, il gioco è più facile, ma l’XP che si ottiene è ridotto. Di notte, la difficoltà aumenta esponenzialmente (come da tradizione), ma non diventa mai veramente paurosa. Manca quel terrore primordiale che caratterizzava le notti del primo capitolo. La notte qui è semplicemente più difficile e punitiva, ma non riesce a trasmettere la stessa ansia e tensione, trasformandosi più in un fastidio da superare che in una vera sfida di sopravvivenza.
Come Gira su PC? Un’Ottimizzazione Perfetta
Dopo l’incubo dell’ottimizzazione vissuto con Borderlands 4, eravamo pronti al peggio. Invece, Dying Light: The Beast su PC è perfetto.
Abbiamo testato il gioco sia su una RTX 3070 Ti che su una RTX 4080, e in entrambi i casi il titolo “andava da paura”. Abbiamo ottenuto un framerate solido, senza cali vistosi o stuttering, anche nelle situazioni più caotiche. È la prova che, quando gli sviluppatori si impegnano, l’ottimizzazione è possibile.
Conclusioni
Dying Light: The Beast è un gioco che vive di forti contraddizioni. Da un lato, abbiamo un gameplay quasi perfetto: il parkour è ancora il migliore del genere, il combattimento melee è brutale e soddisfacente, e le novità come i veicoli e la “Beast Mode” rinfrescano la formula. Aggiungiamo un’ottimizzazione su PC che “va da paura”.
Dall’altro lato, tutto ciò che circonda il gameplay sembra un passo indietro. La storia è scontata e priva di colpi di scena, i personaggi sono piatti (salvo il villain), l’open world è fermo al 2015 e il ciclo notte/giorno ha perso il suo fascino spaventoso.
Dopo 40 ore di gioco, il nostro verdetto è chiaro: The Beast è un sandbox di parkour e smembramenti incredibilmente divertente, ma non è il capolavoro che fu il primo capitolo. Se cercate un gameplay adrenalinico senza badare troppo alla trama, è un acquisto valido.
VOTO FINALE: 7.5/10

